Traduzione del bellissimo articolo scritto da Tim Brown – Editorialista MLB apparso il 13 Luglio 2019 su Yahoo Sports
ANAHEIM, California – Sembra che non ci sia più molto spazio per il baseball. Almeno per un po’. Non come era. Non quando l’amico con cui l’hai giocato, che ha vissuto la tua stessa vita, ha sognato gli stessi sogni e ripetuto gli stessi giochi, e’ scomparso.
Sarebbe bello interrogarsi sul gioco quando viene offerto nel peggiore dei modi come un gioco, solo un gioco, qualcosa da fare tra le domande difficili e la rabbia e le lacrime.
Alla fine, sempre, era qualcosa di condiviso con lui, e ora è una foto su un muro e un santuario di vecchi berretti da baseball, un dolore sconfinato nelle loro anime, e quanto sarebbe giusto chiedersi dove questo lascia il gioco .
La risposta arriva lentamente, e si costruisce, in una folla silenziosa, in uno strike lanciato dalla mamma in lutto, in una testa alzata verso il cielo in modo da trattenere le lacrime, e infine, finalmente, finalmente, con la certezza che questo è OK , che l’incomprensibile potrebbe vivere a fianco dello straordinario.
Per un venerdì sera a metà luglio, ore dopo che avevano tentato di nuovo di salutare Tyler Skaggs, 27 anni, quando la folla all’Angel Stadium si era alzata in piedi e aveva urlato per le loro azioni migliori, per le cose migliori della partita, la No-Hit dei Los Angeles contro i Seatlle Mariners.
“Non puoi inventare questa roba”, disse Mike Trout. “Lui stava decisamente guardando in basso verso di noi. Probabilmente era lassù e diceva: “Siamo cattivi”. Che gioco incredibile di cui essere parte. Era bello e piuttosto folle. “
Trout era corso dal campo centrale dopo l’ultimo out, un grounder alla seconda base indotta da Felix Peña, che aveva lanciato gli ultimi sette inning dietro a Taylor Cole. Aveva riso e guardato nel cielo notturno, condividendo ancora una di queste cose con il suo amico, concedendosi di garantire che il gioco fosse valso la pena, valeva la pena vincere, valeva la pena condividerlo.
Avevano tutti indossato il suo numero 45 sulla schiena, la scritta SKAGG sulle spalle, come la maglia che pendeva ancora nel suo armadietto. Quando hanno finito di celebrare l’undicesima No-Hit nella storia della squadra, dopo una vittoria per 13-0, si sono tolti le maglie e uno o due alla volta le hanno messe sul monte. Avevano bisogno che facesse parte di questo, dal primo lancio cerimoniale di Debbie a quello di Peña, dalle lacrime pregame alle loro urla postgame.
“Questa squadra è ferma, questa è ovviamente la cosa peggiore che possa accadere per una squadra”, ha detto Trout. “Vorrebbe essere là fuori da dove lui amava lanciare, dove ha dominato, ha lanciato quella palla curva dal cielo …”
C’è un altro giovane sulla recinzione del campo centrale , un’altra foto spettrale di un giovane catturato com’era, a metà strada, per non fare mai quel lancio, per non guardare mai indietro, per non invecchiare mai.
Tristemente familiare con quel posto su quel muro in questo ballpark, con un giovane là andato per sempre, gli Angels affrontarono un’altra pagina del calendario, gestirono un altro giorno verso non sapevano cosa, e si strinsero alla famiglia di Tyler Skaggs – la sua mamma, sua moglie, Carli, tutti quei fratelli, nuovi e logori, per il sangue e per altro, compresi loro stessi.
Hanno chinato la testa per altri 45 secondi. Dissero addio di nuovo, nel caso avesse perso il primo milione di volte in cui l’avevano detto, e abbracciarono sua madre e sua moglie, il patrigno e il fratellastro.
Debbie, l’ex giocatrice di softball, lanciò un duro strike al migliore amico di Tyler, Andrew Heaney, poi guardò il cielo.
Heaney le aveva sorriso dolcemente da dietro il piatto, poi aveva annuito come per dire “Va bene, lancialo” e si accovacciò.
Andato, ma mai dimenticato.
“Chiunque la conosca sa quanto sia forte”, ha detto Heaney. “Se sai qualcosa su di lei, sai perché Tyler è come è.”
Forte. E con un diavolo di braccio.
“Tutto è iniziato oggi con il primo lancio di Debbie”, ha detto Cole. “L’ha tirato nel mezzo. Incredibile.”
Quante volte avevano giocato a ricevere palline insieme. Quante volte aveva guidato verso uno spiazzo di terra abbandonata usata dai bambini per giocare, un campo da baseball o uno stadio. Per quanti inni lei si era alzata. Quanti ciao agitando la mano aveva indirizzato ai suoi compagni di squadra. Quante partite di baseball aveva visto con lui su quel monte, a 10 pollici sopra il resto del campo. Ora i suoi compagni di squadra l’abbracciavano e le dicevano quanto fossero dispiaciuti, quanto lo amassero e appoggiava la testa sulle loro spalle.
Quegli undici giorni dopo che Tyler Skaggs morì in una camera d’albergo del Texas, 10 anni dopo Nick Adenhart (giovanissimo lanciatore destro degli Angels morto nel 2009, a 23 anni, in una collisione contro un guidatore ubriaco), era il primo su quel muro, gli Angels si fecero un altro pianto disperato. Per lui. Per loro. Per la sua vedova. Per sua madre.
Alcuni momenti prima della cerimonia, Carli si sedette sulla panca accanto a una maglia incorniciata. Appoggiò la mano sul telaio.
Poi gli Angels hanno giocato quella partita di baseball quasi perfetta in una notte in cui erano tutti Tyler Skaggs, numero 45, giocatore di baseball, ragazzo che avrebbe assolutamente amato tutto questo.
Un bambino è cresciuto. Lui è buono e gentile. Trova un mondo di cui è appassionato. Ne fa il lavoro della sua vita, che a volte non sembra affatto lavoro, che è la cosa migliore. Telefona spesso, ricorda quello che dovrebbe ricordare, ride di quello che ha sempre riso. Cambia appena negli occhi di sua madre. C’è semplicemente più di lui, finché non ce n’è.
Un santuario di fortuna in onore del lanciatore di Los Angeles Angels Tyler Skaggs si trova fuori dall’Angel Stadium prima della partita della squadra contro i Seattle Mariners di venerdì 12 luglio 2019 ad Anaheim, in California
Arriva un amico All’inizio è timido, ma il ghigno malizioso lo tradisce. Sembra sapere quando guidare, quando seguire, quando stare accanto al suo amico. È il primo a festeggiare, il primo ad addolorarsi, questo allampanato e bonario e amico vero che difficilmente cambia in un mondo complicato. È sempre, sempre, semplicemente lui, finché non c’è più.
Un compagno di squadra cresce. È un buon giocatore di baseball e va bene, è quello che ci si aspetta. Dopotutto è qui, un big leaguer. Anche a lui importa. Aiuta a spingere o tirare o qualunque cosa è richiesta, a volte ciò che non è richiesto, quindi solo un po’ di più. È lì per loro abbastanza spesso che loro devono essere lì per lui, anche se la sua foto si trova in quel luogo su quel recinto. Soprattutto se si trova in quel posto su quel recinto.
Così un monumento si innalza all’ingresso dello stadio, un altro memoriale sui mattoni dove sono collocati fiori, berretti e oggetti vari, insieme ai messaggi scritti nella semplice calligrafia dei bambini.
Così Mike Trout colpisce l’HR sul primo lancio e esplora la folla per scovare la famiglia, perché ha bisogno di loro per sapere che Tyler è nella sua mente. Il fratellastro di Tyler, Garret, indossa il bianco numero 11 che Tyler indossava alla scuola di Santa Monica, quando gli Angels lo prelevarono e ne fecero uno di loro.
Così un gruppo di uomini e una squadra di baseball, una fratellanza e uno sport cercano di tirarsi su, di riprendere fiato, di andare avanti.
“Ovviamente abbiamo perso qualcuno troppo presto”, aveva detto il manager Tony Clark all’inizio della settimana. “Ciò che è difficile per me, dato che presumo fosse difficile per molti di voi, è che a 27 anni vai a dormire una notte e non ti svegli”.
Si chiese se Tyler avesse chiamato a casa per dire buonanotte, per dire ti amo. Presumeva che lo avesse fatto. E il pensiero si bloccò da qualche parte nella sua gola.
Il Manager degli Angels, Brad Ausmus, scrollò le spalle e disse che sperava che passasse un altro giorno e che un pubblico addolorato potesse “Un po’ calmare il dolore”, anche se non sembrava convinto.
E il general manager Billy Eppler disse che tiene un documento sul desktop del suo computer che contiene la tabella della profondità organizzativa in ogni posizione, inclusa quella del lanciatore.
“Non l’ho nemmeno guardato”, disse. “Non ho nemmeno aperto il documento. Te lo posso assicurare.”
Come hanno fatto quasi tutti i giorni, gli Angels hanno giocato la partita che era in programma. In questa notte, hanno fatto un giro davanti al monumento. Oltrepassarono l’armadietto sul lato opposto della stanza. Riunirono la famiglia di Tyler Skaggs, prendendo forza da tutto quello, dando la forza che avevano. Hanno detto addio di nuovo.
Hanno onorato in quel posto, in questo ballpark, su quel muro, il giovane che avevavo aiutato a crescere, che avevano visto arrivare, che avevano visto crescere. Era stato loro amico. È un loro amico È il loro fratello, con il sangue e in altro modo.
È per questo che giocano. Perché, quando è solo un gioco, è ancora abbastanza.
“Penso che il baseball ti insegna,” disse Ausmus, “che quando pensi di conoscere il gioco, ti ricorderà che non sai niente.”