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N. 45: Gli Angels onorano Tyler Skaggs con un combined no-hitter

Traduzione  del bellissimo articolo scritto da Tim Brown – Editorialista MLB apparso il 13 Luglio 2019 su Yahoo Sports

ANAHEIM, California – Sembra che non ci sia più molto spazio per il baseball. Almeno per un po’. Non come era. Non quando l’amico con cui l’hai giocato, che ha vissuto la tua stessa vita,  ha sognato gli stessi sogni e ripetuto gli stessi giochi, e’ scomparso.

Sarebbe bello interrogarsi sul gioco quando viene  offerto nel peggiore dei modi come un gioco, solo un gioco, qualcosa da fare tra le domande difficili e la rabbia e le lacrime.

Alla fine, sempre, era qualcosa di condiviso con lui, e ora è una foto su un muro e un santuario di vecchi berretti da baseball, un dolore sconfinato nelle loro anime, e quanto sarebbe giusto chiedersi dove questo lascia il gioco .

La risposta arriva lentamente, e si costruisce, in una folla silenziosa, in uno strike lanciato dalla mamma in lutto, in una testa alzata verso il cielo in modo da trattenere le lacrime, e infine, finalmente, finalmente, con la certezza che questo è OK , che l’incomprensibile potrebbe vivere a fianco dello straordinario.

Per un venerdì sera a metà luglio, ore dopo che avevano tentato di nuovo di salutare Tyler Skaggs, 27 anni, quando la folla all’Angel Stadium si era alzata in piedi e aveva urlato per le loro azioni migliori, per le cose migliori della partita, la No-Hit dei Los Angeles contro i Seatlle Mariners.

“Non puoi inventare questa roba”, disse Mike Trout. “Lui stava decisamente guardando in basso verso di noi. Probabilmente era  lassù e diceva: “Siamo cattivi”. Che gioco incredibile di cui essere parte. Era bello e  piuttosto folle. “

Trout era corso dal campo centrale dopo l’ultimo out, un grounder alla seconda base indotta da Felix Peña, che aveva lanciato gli ultimi sette inning dietro a Taylor Cole. Aveva riso e guardato nel cielo notturno, condividendo ancora una di queste cose con il suo amico, concedendosi di garantire che il gioco fosse valso la pena, valeva la pena vincere, valeva la pena condividerlo.

Avevano tutti indossato il suo numero 45 sulla schiena, la scritta SKAGG sulle spalle, come  la maglia che pendeva ancora nel suo armadietto. Quando hanno finito di celebrare l’undicesima  No-Hit  nella storia della squadra, dopo una vittoria per 13-0, si sono tolti le maglie e uno o due alla volta le hanno messe sul monte. Avevano bisogno che facesse parte di questo, dal primo lancio cerimoniale di Debbie a quello di Peña, dalle lacrime pregame alle loro urla  postgame.

“Questa squadra è ferma,  questa è ovviamente la cosa peggiore che possa accadere per una squadra”, ha detto Trout. “Vorrebbe essere là fuori da dove lui amava lanciare, dove ha dominato, ha lanciato quella palla curva dal cielo …”

C’è un altro giovane sulla recinzione del campo centrale , un’altra foto spettrale di un giovane catturato com’era, a metà strada, per non fare mai quel lancio, per non guardare mai indietro, per non invecchiare mai.

Tristemente familiare con quel posto su quel muro in questo ballpark, con un giovane là andato per sempre, gli Angels affrontarono un’altra pagina del calendario, gestirono un altro giorno verso non sapevano cosa, e si strinsero alla famiglia di Tyler Skaggs – la sua  mamma, sua moglie, Carli, tutti quei fratelli, nuovi e logori, per il sangue e per  altro, compresi loro stessi.

Hanno chinato la testa per altri 45 secondi. Dissero addio di nuovo, nel caso avesse perso il primo milione di volte in cui l’avevano detto, e abbracciarono sua madre e sua moglie, il patrigno e il fratellastro.

Debbie, l’ex giocatrice di softball, lanciò un duro strike al migliore amico di Tyler, Andrew Heaney, poi guardò il cielo.

Heaney le aveva sorriso dolcemente da dietro il piatto, poi aveva annuito come per dire “Va bene, lancialo” e si accovacciò.

Andato, ma mai dimenticato.

“Chiunque la conosca sa quanto sia forte”, ha detto Heaney. “Se sai qualcosa su di lei, sai perché Tyler è come è.”

Forte. E con un diavolo di braccio.

“Tutto è iniziato oggi con il primo lancio di Debbie”, ha detto Cole. “L’ha tirato nel mezzo. Incredibile.”

Quante volte avevano giocato a ricevere palline insieme. Quante volte aveva guidato verso uno spiazzo di terra abbandonata usata dai bambini per giocare, un campo da baseball o uno stadio. Per quanti inni lei si era alzata. Quanti ciao agitando la mano aveva indirizzato ai suoi compagni di squadra. Quante partite di baseball aveva visto con lui su quel monte, a 10 pollici sopra il resto del campo. Ora i suoi compagni di squadra l’abbracciavano e le dicevano quanto fossero dispiaciuti, quanto lo amassero e appoggiava la testa sulle loro spalle.

Quegli undici giorni dopo che Tyler Skaggs morì in una camera d’albergo del Texas, 10 anni dopo Nick Adenhart (giovanissimo lanciatore destro degli Angels morto nel 2009, a 23 anni,  in una collisione contro un guidatore ubriaco), era il primo su quel muro, gli Angels  si fecero un altro pianto disperato. Per lui. Per loro. Per la sua vedova. Per sua madre.

Alcuni momenti prima della cerimonia, Carli si sedette sulla panca accanto a una maglia incorniciata. Appoggiò la mano sul telaio.

Poi gli Angels hanno giocato quella partita di baseball quasi perfetta in una notte in cui erano tutti Tyler Skaggs, numero 45, giocatore di baseball, ragazzo che avrebbe assolutamente amato tutto questo.

Un bambino è cresciuto. Lui è buono e gentile. Trova un mondo di cui è appassionato. Ne fa il   lavoro della sua vita, che a volte non sembra affatto lavoro, che è la cosa migliore. Telefona spesso, ricorda quello che dovrebbe ricordare, ride di quello che ha sempre riso. Cambia appena negli occhi di sua madre. C’è semplicemente più di lui, finché non ce n’è.

Un santuario di fortuna in onore del lanciatore di Los Angeles Angels Tyler Skaggs si trova fuori dall’Angel Stadium prima della partita della squadra contro i Seattle Mariners di venerdì 12 luglio 2019 ad Anaheim, in California

Arriva un amico All’inizio è timido, ma il ghigno malizioso lo tradisce. Sembra sapere quando guidare, quando seguire, quando stare accanto al suo amico. È il primo a festeggiare, il primo ad addolorarsi, questo allampanato e bonario e amico vero che difficilmente cambia in un mondo complicato. È sempre, sempre, semplicemente lui, finché non c’è più.

Un compagno di squadra cresce. È un buon giocatore di baseball e va bene, è quello che ci si aspetta. Dopotutto è qui, un big leaguer. Anche a lui importa. Aiuta a spingere o tirare o qualunque cosa è richiesta, a volte ciò che non è richiesto, quindi solo un po’ di più. È lì per loro abbastanza spesso che loro devono  essere lì per lui, anche se la sua foto si trova in quel luogo su quel recinto. Soprattutto se si trova in quel posto su quel recinto.

Così un monumento si innalza all’ingresso dello stadio, un altro memoriale sui mattoni dove sono collocati fiori, berretti e oggetti vari, insieme ai messaggi scritti nella semplice calligrafia dei bambini.

Così Mike Trout colpisce l’HR sul primo lancio e  esplora la folla per scovare la famiglia, perché ha bisogno di loro per sapere che Tyler è nella sua mente. Il fratellastro di Tyler, Garret, indossa il bianco numero 11 che Tyler indossava alla scuola di Santa Monica, quando gli Angels lo prelevarono  e ne fecero uno di loro.

Così un gruppo di uomini e una squadra di baseball, una fratellanza e uno sport cercano di tirarsi su, di riprendere fiato, di andare avanti.

“Ovviamente abbiamo perso qualcuno troppo presto”, aveva detto il manager Tony Clark all’inizio della settimana. “Ciò che è difficile per me, dato che presumo fosse difficile per molti di voi, è che a 27 anni vai a dormire una notte e non ti svegli”.

Si chiese se Tyler avesse chiamato a casa per dire buonanotte, per dire ti amo. Presumeva che lo avesse fatto. E il pensiero si bloccò da qualche parte nella sua gola.

Il Manager degli Angels, Brad Ausmus, scrollò le spalle e disse che sperava che passasse un altro giorno e che un pubblico addolorato potesse “Un po’ calmare il dolore”, anche se non sembrava convinto.

E il general manager  Billy Eppler disse che tiene un documento sul desktop del suo computer che contiene la tabella della profondità organizzativa in ogni posizione, inclusa quella del  lanciatore.

“Non l’ho nemmeno guardato”, disse. “Non ho nemmeno aperto il documento. Te lo posso assicurare.”

Come hanno fatto quasi tutti i giorni, gli Angels hanno giocato la partita che era in programma. In questa notte, hanno fatto un giro davanti al  monumento. Oltrepassarono l’armadietto sul lato opposto della stanza. Riunirono la famiglia di Tyler Skaggs, prendendo forza da tutto quello, dando la forza che avevano. Hanno detto addio di nuovo.

Hanno onorato in quel posto, in questo ballpark, su quel muro, il giovane che avevavo aiutato a crescere, che avevano visto arrivare, che avevano visto crescere. Era stato loro amico. È un loro amico È il loro fratello, con il sangue e in altro modo.

È per questo che giocano. Perché, quando è solo un gioco, è ancora abbastanza.

“Penso che il baseball ti insegna,” disse Ausmus, “che quando pensi di conoscere il gioco, ti ricorderà che non sai niente.”

 

 Foto tratta dall’articolo originale (Getty Images)

 
 

CAMPIONATO DI SERIE C – 11° GIORNATA

Non guardate indietro. Ci siete già stati.

(Anonimo)

MALNATE VIKINGS   –   SARONNO BC    =   4  –  14

 “La piccola leggenda del giovane cavaliere che voleva vincere la guerra da solo”…….

 La piccola storia che voglio raccontare narra di un giovane cavaliere, Lorenzo Franci, classe 2002 che, salito sulla collina (che a lui sembra la fortezza da dover difendere),  comincia una battaglia personalissima contro i terribili avversari che lo circondano.  Lo scontro che ingaggia sembra più una sorta di duello medievale…..colpisci per  non essere colpito, uccidi (in senso metaforico ovviamente) per non essere ucciso… Intorno non c’è più niente, solo lui che con furore quasi mistico scaglia dardi micidiali cercando di abbattere gli avversari; a volte i dardi tornano indietro con il doppio della velocità, ma lui non si accorge nemmeno dei colpi che deve incassare.  I compagni possono solo assistere a questo scontro epico e a volte raccogliere in fondo al campo i dardi che gli avversari sono riusciti a restituire al mittente.. Solo lui e i mostri intorno … Qualche volta il cavaliere, non riuscendo ad avere ragione dell’avversario di turno,  decide di colpirlo in modo meno “metaforico”…..

Quando al termine della sua battaglia scende dal monte con il volto “trasfigurato” dalla fatica e dall’adrenalina ancora in circolo, sei nemici si saranno seduti anzitempo in panca, due saranno stati colpiti “fisicamente”  e altri tre avranno restituito, con gli interessi, le palline che il nostro prode cavaliere aveva scagliato a casa base rifilandogli  inoltre quattro punti.

Nel frattempo i compagni, non volendo passare alla storia solo come meri spettatori, decidono di aiutare il loro cavaliere investendo il pitcher avversario con una serie di valide condite con un paio di battitori colpiti, che ristabiliscono così l’equilibrio in campo.

All’inizio della terza ripresa, con Saronno avanti per 5 a 4,  la partita torna ad avere un’aspetto più consono .

Sul monte degli amaretti sale in cattedra Diego Monticelli. “El Duque”  da questo momento mette il silenziatore alle mazze dei padroni di casa. Nelle cinque riprese lanciate nove battitori non avranno la possibilità  di toccare palla e solo tre riusciranno a pestare il cuscino di prima;  uno solamente quello di terza, senza comunque arrecare danni.

Per completare l’opera Monticelli chiuderà in attacco con due valide di cui  la prima, un lunghissimo fuoricampo interno. Dopo aver rotolato per tutta la lunghezza del campo, la palla  finirà la sua corsa sulla rete del campo da softball.

Una volta che  Monticelli ha messo fine alle velleità offensive dei padroni di casa, gli amaretti cominciano a colpire con continuità la collina dei padroni di casa, alla fine saranno 14 le valide per i ragazzi di Civolani, e ripresa dopo ripresa allargano sempre di più il divario tra le due squadre.

Brillano nel box, oltre a Monticelli, Alberto Cavaliere con un tre su cinque (suo un “quasi fuoricampo macchiato solo dal tiro impreciso dell’esterno centro), Andrea Bellebono con un due su quattro (tra cui un doppio) G.Marco Caimi con un due su cinque, Valerio Villa con due su tre,

Alberto Basilico con una valida su tre turni.

Anche Franci, il “cavaliere solitario”, metterà a segno una valida nel suo primo attacco.

Buona nel complesso  la prestazione della difesa saronnese macchiata solo da un paio di errori che però non  influiranno  negativamente sul risultato.

Onore al merito ai giovanissimi ragazzi malnatesi e soprattutto al loro pitcher Nicolò Grappoli che ha cercato in tutti i modi, in una giornata estremamente calda, di arginare i battitori ospiti sobbarcandosi la bellezza di 109 lanci.

Domenica 7 Valter Civolani e i suoi ragazzi saranno di scena sul diamante di via S. Colombano a Genova, partita che non dovrebbe riservare particolari difficoltà.

Nessuno può tornare indietro e ricominciare da capo, ma chiunque può andare avanti e decidere il finale.


(Karl Barth)

  

 

Gandalf il grigio

 
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Pubblicato da su 5 luglio 2019 in Serie C, Uncategorized

 

AUGURI “BIG PAPI”

Un’Icona del Baseball, David Ortiz, è stata vigliaccamente colpita alle spalle in un Bar di Santo Domingo.

Ho cercato di tradurre (spero in modo decente) un bellissimo articolo di Tim Brown apparso su Yahoo Sports l’11 Giugno.

 

 

“C’è solo un Big Papi”: Il baseball aspetta mentre David Ortiz è in via di guarigione

Tim Brown

Yahoo Sports June 11.2019

In una notte d’inverno alcuni anni fa un uomo di grandi dimensioni entrò in un ristorante a Santo Domingo, la capitale della Repubblica Dominicana. Era retroilluminato contro l’esterno, una strada affollata, tra le altre cose, da tre camion a pianale che trasportavano donne vestite come se fossero su una spiaggia, secchi di birra fredda del Presidente e altoparlanti che urlavano musica isolana. Le luci si accesero e le donne ballarono e gli strumenti suonarono e presto  una folla si formò appena oltre il parcheggio del ristorante. Ci sarebbero presto elezioni nazionali. Il percorso della campagna includeva una fermata sulla strada proprio mentre l’uomo grande apriva la porta del ristorante.

Anche in silhouette, questo potrebbe essere solo un uomo.

La stanza tacque.David Ortiz  sorrise. Le  persone rimasero in silenzio.

“Papi”, disse qualcuno, composto.

Ortiz si fermò, strinse la mano dell’uomo, disse qualcosa al tavolo.

Semmai, sembrava più grande lì, nella sua città, nel suo paese, tra amici vicini e lontani, amici che non aveva mai incontrato prima, amici che non avrebbe mai più rivisto. Indossava occhiali da sole anche se la stanza era buia. Le pietre scintillavano dalle sue orecchie, dal suo collo, dai suoi polsi e dalle sue dita. Brillava più luminoso, sorrideva e  rendeva quella piccola stanza l’unico posto che contava.

Fuori in strada, stavano conducendo il ragazzo sbagliato per il presidente.

Domenica sera, anni dopo, David Ortiz, 43 anni e nella terza estate  dopo il suo ritiro dal baseball, è stato colpito alla schiena in una di quelle stanze. Entro lunedì pomeriggio, dopo un intervento chirurgico di sei ore, veniva  trasportato, sull’aereo dei Boston Red Sox, al Massachusetts General Hospital di Boston per ulteriori cure. I dottori dissero che era stabile. Hanno detto che dovrebbe riprendersi.

Quindi, aspettiamo. Il popolo della Repubblica Dominicana aspetta, la sua famiglia, i suoi amici ed i suoi compagni di squadra aspettano, i suoi fan attendono, tutto il mondo del  baseball aspetta.

che  David Ortiz torni  indietro da quella porta.

Quando Albert Pujols era un ragazzo a Santo Domingo radunava i suoi libri di scuola e il suo pranzo al mattino, salutava  suo padre e la zia, e piuttosto che andare a scuola a piedi si recava direttamente all’accademia del baseball del quartiere, dove i prospetti dei Montreal Expos e Seattle Mariners venivano allenati. Lì, avrebbero visto un adolescente David Ortiz, fare battute  più alte e più lunghe che avessero  mai visto. Allora non era Big Papi. Era un ragazzo troppo cresciuto con una grande risata e giro di mazza da uppercut, in piedi spalla a spalla con un sacco di altri ragazzi con un amore per il gioco e un futuro nebuloso.

Col tempo, divennero amici e per un certo periodo furono tra le classi dominanti della Major League Baseball e iconiche nella Repubblica Dominicana. Come Juan Marichal. ComePedro Martinez.  Come Manny Ramirex.  Come Vladimir Guerrero . Come Adrian Beltre. Come Robinson Cano.

Hanno condiviso un’educazione, un’eredità, una visione della vita e di  una patria che ci hanno insegnato attraverso il loro modo di giocare a baseball e storie di perseveranza. Sono una famiglia, con poche eccezioni, famiglia che si estende nelle città, nei villaggi e nei barrios della loro isola.

E così lunedì mattina, ognuno di loro ha cercato informazioni dai compagni di squadra dominicani, da quelli in patria, dallo stesso Pujols che chiamava Cano e Edwin Encarnacion e altri, sperando di raggiungere uno degli uomini della sicurezza di Ortiz, dando spazio alla moglie di Ortiz, ma volendo disperatamente chiamare. Sono preoccupati. Sono spaventati. Si chiedono come poteva essere accaduto.

“È molto triste”, ha detto Pujols. “Non conosco nessun dettaglio su quello che è successo, ma è solo pazzesco.

“David è tutto [nella Repubblica Dominicana]. È un uomo scioccante. Come persona, come  giocatore di baseball, un compagno domenicano, non lo vedi. Le persone rispettano davvero i giocatori nel DR “

I Red Sox hanno tenuto un momento di riflessione  per Ortiz il lunedì sera prima della loro partita contro i Texas Rangers.  rtiz è a Boston, dove ha vinto tre campionati World Series, quasi quello che è nella Repubblica Dominicana. Cioè, venerato per essere unicamente lui, per giocare con il carisma e la competenza, per essere gentile e generoso. Per essere il più grande uomo nella stanza, in ogni stanza. Qualcuno ha sparato a quella persona nella schiena.

“Nella Repubblica Dominicana, non importa se sei Big Papi o è la tua prima volta  che giochi nei campionati più importanti o sei un minorenne, ti trattano davvero bene laggiù”, ha detto Jose Vizcaino, che è nato e cresciuto a San Cristobal e ha giocato 18 stagioni da grande campionato. “Ma David Ortiz, voglio dire, è difficile confrontarlo con un dio, perché è la cosa più grande. Ma, Big Papi, Pedro Martinez, Albert Pujols, Juan Marichal, quelle persone rappresentano tutto per il nostro paese. Hai menzionato il suo nome lì, anche i bambini piccoli che non l’hanno mai visto giocare sanno chi è lui.

“C’è solo un Big Papi ed è sempre così. Ovunque vada, è molto speciale. Quindi, nelle ultime 24 ore, solo cercare  di scoprire qualsiasi informazione, è stato difficile. La cosa più importante è la sua salute. “

Luis Garcia, il 32enne lanciatore di rilievo per gli Angeli cresciuti a Santo Domingo, qualche anno fa ha chiesto ad Ortiz una maglia firmata. Lui ha capito. E una stretta di mano. E una conversazione. E, forse, l’inizio di un’amicizia.

“Non credi che sia successo davvero”, ha detto Garcia. “Pregherò per lui, per forza. È stato davvero così triste vederlo accadere. Voglio dire, è stato fonte d’ispirazione per tutti i bambini. Ed è triste vedere nel nostro paese che succede ancora. È così triste. Come stiamo vivendo adesso è pazzesco ”

Quindi aspettano le notizie. Rimangono fiduciosi. Ricordano tutti i problemi che hanno avuto per saltare la scuola e ridere, perché è tutto ciò che volevano essere, quel tipo nella divisa da professionista, che si fa strada in qualcosa di più, e poi ne fa una vita. Come lui Come tutti loro.

“Fratello, siamo una famiglia”, ha detto Pujols lunedì pomeriggio. “Questa è famiglia”.

 
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Pubblicato da su 12 giugno 2019 in Uncategorized

 

CAMPIONATO DI SERIE C – 8° GIORNATA

…”che le opportunità non vanno mai perse.

 Quelle che lasci andare tu…le prende qualcun altro”.

 OLD RAGS LODI  –  SARONNO BC:  9  –  4

Siamo tutti la più grande occasione di qualcuno”…

(Roberto Emanuelli)

 

Gli amaretti escono sconfitti dal diamante di Lodi e probabilmente vedono sfumare l’occasione di pareggiare i conti con gli avversari e quindi anche di lottare per l’accesso ai play-off.

Prima di cominciare a descrivere quanto accaduto in campo, per gli amanti delle statistiche, vorrei proporre un piccolo quesito….

Una squadra che porta nel box di battuta 41 giocatori contro 39 avversari; che produce 12 valide contro 10 dei padroni di casa con una media battuta di squadra di 0.343 contro o.286 dei giallo verdi; che concede 4 basi balls contro 5 dei pitchers avversari; come fa a perdere l’incontro per 9 a 4?

A una prima lettura dei ruolino la risposta salta velocemente all’occhio.

L’attacco dei padroni di casa con un singolo, un doppio, un triplo e un errore della difesa saronnese, messi in fila, hanno  prodotto un tesoretto di 5 punti che hanno subito segnato la strada in salita per gli amaretti. Di contro l’attacco saronnese ha denotato, con le dodici valide solitarie, l’incapacità di spingere a casa compagni che invece restavano desolatamente a morire di noia sulle basi.

Ma veniamo al racconto della partita.

Sul monte dei padroni di casa il solito Mirko Nodari che, seppur in una non straordinaria giornata, non aveva difficoltà a tenere a freno le mazze degli ospiti. Solo una fiammata nel secondo inning con il singolo di Andrea Bellebono, la base concessa a Alberto Cavaliere, il bunt su sacrificio di Samuele Caccia e il valido di Caimi riuscivano a scalfire la sicurezza di Nodari producendo due punti che facevano ben sperare. Sarà la difesa a dare man forte al proprio pitcher  chiudendo un paio di doppi giochi che smorzano gli ardori degli ospiti.

Sul monte saronnese Davide Zaniboni, dopo una partenza tranquilla, viene travolto dalle bocche di fuoco lodigiane.

Doppio di Garrida, triplo di Ramberti, base concessa a Montanari, singolo di Gremi, poi, dopo due eliminazioni difensive, un pesante errore difensivo e il successivo singolo di Meazza travolgono il monte saronnese. Quando Cavaliere cattura al volo la battuta di Colon chiudendo di fatto la ripresa, Saronno lascia sul campo 5 punti molto pesanti e la paura comincia a subentrare tra le fila degli amaretti.

Il terzo inning inizia con Daniele Tarocco a sostituire Zanna, ma anche lui deve subire subito una raffica di valide. Singoli di Ramberti e Montanari;  per sparecchiare ci penserà Christian Anelli con un lungo doppio sulla sinistra del campo. Tarocco si riscatta subito con uno strike out che chiude la ripresa, mentre il punteggio si è portato sul 7 a 2 per i gialloverdi.

“Taro” riuscirà nelle successive riprese a tenere a freno le mazze lodigiane, concedendo solo un altro punto nel sesto e uno  nell’ottavo (frutto di un errore difensivo).

Nodari dal suo canto, ottimamente coadiuvato dal Anelli dietro la piastra di casa (2 colti rubando per lui),  incasserà un punto nel quinto (frutto anche di un errore difensivo) e uno nel settimo fissando il punteggio sul definitivo 9 a 4.

Diego Monticelli e Filippo Affetti chiuderanno le porte a ogni tentativo di modificare il punteggio.

Per i lodigiani ottima prova, nel box, di Ramberti con un triplo e un singolo, di Meazza 3 su 4, Garrido con un doppio su 4, Anelli con un doppio su 3.

Per gli amaretti Federico Villa con 3 su 5, Monticelli con 2 su 4, Cavaliere con 2 su 3 e Daniele Tarocco con 2 su 4 hanno cercato in tutti i modi di tenere in partita la squadra.

E’ vero, apparentemente tutto sembra ormai definito, obiettivamente 2 partite di differenza e scontri diretti sfavorevoli non alimentano grandi speranze, ma da sportivi abbiamo il dovere di provare fino all’ultimo di giocare le nostre ciance.

Domenica turno di riposo per i ragazzi di Civolani per poter metabolizzare la sconfitta.

 

Quando tutto sembra perduto quello per cui lottiamo determina chi siamo

(dal film Impossible)

 

 

P.S.: un consiglio per sdrammatizzare….

“Sì nun sapit cogliere

l’occasion,  jat a cogliere

‘e pummarol”….

 (aforisma napoletano)

Gandalf il grigio

 
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Pubblicato da su 8 giugno 2019 in Uncategorized