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Archivio mensile:ottobre 2011

Le due sponde delle World Series – Parte seconda

RIPETERE LE WORLD SERIES LASCIA ARLINGTON IN SUBBUGLIO PER IL BASEBALL.

Articolo di Tim Brown
Tradotto da Gandalf il Grigio

Arlington, Texas – Sai di cosa non parlano quasi più ad Arlington?
di football…
Beh, diciamo che non continuano a parlare di football così a lungo.
Questo è un aspetto delle World Series, dopo che per più di mezzo secolo gli abitanti di Arlington avevano cancellato il baseball dalla loro anima.
Bene o male quella città si trasforma, per l’occasione, in una palla da baseball.
Così in una notte di Sabato di metà Ottobre, con i Texas Rangers che giocano di fronte ad importanti personaggi locali tra cui l’ ex Presidente (George W. Bush) il baseball muscoloso si accavalla, forse per due domeniche, con la stagione del football, con un grande spettacolo di fuochi d’artificio e boccali di “Lone Stars”.
Proprio come l’anno scorso.
Due? … Di fila?
Contro la prospettiva di una vittoria finale in gara 7 da disputarsi la notte successiva, i Rangers finiscono la battaglia in gara 6, a stretto contatto con i Detroit Tigers, partita che sembrerà più una gara che rasenta l’eutanasia.
Il punteggio finale era di 15 – 6. Non poi così stretto.
La squadra migliore vince.
Nell’estate più calda la maggior parte della gente potrebbe ricordare: ha vinto la squadra migliore.
Da quello che era una volta, e per troppo tempo, un deserto per il baseball: ha vinto la squadra migliore.
Michael Young, che nello spring training ha avuto qualche problema in difesa con la divisa dei Rangers, ha catturato l’ultima pallina della stagione di American League, scatenando una festa che è iniziata con Naftali Feliz e Mike Napoli nei pressi del monte e si è conclusa con l’arrivo degli altri 23 della squadra. 
Nelson Cruz, la sua mazza è rimasta silenziosa nel mese di Settembre e lo ha visto relegato, nei play off, nella settima posizione del Line Up, ha infilato una serie record con sei fuoricampo e 13 RBI. E’ diventato l’MVP della serie.
Josh Hamilton, che ha ripreso la sua vita, il suo baseball, stava in mezzo alle bottiglie vuote di ginger ale – l’ormai normale cenno alla sua sobrietà. Sorrise alla scena che si svolgeva intorno a lui, ai ragazzi che erano stati battuti nelle ultime World Series e che avevano promesso di tornare. Si scusò: “Lasciatemi andare”, ha detto ai giornalisti, “Devo stare con i miei compagni di squadra”.
Intanto, intorno a lui, vestiti di rosso – orgoglio e lacrime – più di 50.000 tifosi di baseball canticchiavano “Cru-u-u-u-z” per il loro MVP, e ruggivano a Nolan Ryan che sorreggeva il Championship Trophy agitando le mani ad indicare il nuovo ragazzo Adrian Beltre e il veterano Michael Young.
Dal quasi nulla, non hanno semplicemente costruito qualcosa qui in Texas, ma qualcosa che continua.
Cliff Lee, era il loro asso, e ora se n’è andato, e loro sono di nuovo qui. Il bullpen sembrava non poter tenere, è poi diventato la loro forza. Michael Young stava per essere scambiato, lo aveva richiesto in realtà, ha battuto due doppi nel terzo inning di gara 6, ha segnato due punti in ognuno di loro, e poi ha raccolto la palla finale della partita all’esterno, nella notte ancora calda del Texas.
Continuando, un anno fa hanno perso le World Series in cinque partite contro S.Francisco Giants, ma non sono stati abbattuti.
Ai primi di Novembre, Young si mise davanti ai compagni e li ha esortati: “Godetevi l’inverno, ma non spegnetelo mentalmente”.
“Ed ecco,” ha detto Ron Washington nella notte di Sabato, “qui abbiamo un’altra opportunità”.
Ecco sì, i Rangers sono tornati.
“Questa è tutta la questione” dice il general manager di Texas Jon Daniels. “Dobbiamo vincere una serie più grande prima di parlare di quello che abbiamo deciso di essere. Questo è il nostro obiettivo. E’ difficile da ottenere; è difficile vincere una volta, ed è difficile andare avanti.”
E’ ancora più difficile a piedi…
I Tigers avevano portato aggressività, swing selvaggio nella trainer’s room e poi in campo.
Avevano zoppicando zoppicando percorso le sei partite, la maggior parte estenuanti, due di loro finite agli extra innings.
“Ho gestito una squadra che ha vinto una World Series,” ha detto più tardi il manager Jim Leyland. “E io credo di essere molto orgoglioso di questa squadra. E voglio anche dire che, sinceramente, hanno dato tutto quello che avevano”.
Era stato due notti fa che i figli di Dave Dombrowski (Presidente e direttore generale dei Tigers) erano arrivati nella suite privata nel Comerica Park cantando a piena gola, “boogie-down” variazione di Stayin’ Alive” dei Bee Gees.
Gareggiavano, anche se a malapena, contro quelli che molti credevano essere il miglior ball club delle Major, ma i Tigers hanno perseverato. Hanno vinto gara 5, sono tornati per continuare la serie in Texas. Hanno segnato i primi due punti di gara 6. Magglio Ordognez era inattivo. Delmon Young ha iniziato una serie improduttiva. Victor Martinez aveva colpito con un HR.
Eppure hanno minacciato di spingere la serie fino a gara 7.
Quello che è successo dopo è stato devastante.
I Rangers hanno presentato 14 battitori contro 4 lanciatori dei Tigers nel terzo inning. Hanno segnato nove punti.
“Ne abbiamo parlato nella club house” dice Ian Kinler, “era giunto il momento di mettere su una grande prestazione offensiva, e Michael è stato il punto centrale.
Alla fine dei conti i Rangers hanno messo a segno 17 valide, travolgendo sei lanciatori dei Tigers e superando la squadra che “non voleva morire”.
Così dopo 11 anni di non vittorie come Washington DC e le successive 38 stagioni senza vittorie sotto la bandiera di Texas, i Rangers si sono qualificati per un’altra World Series, back-to-back.
E’ passato un decennio da quando questo era riuscito ai New York Yankees. Quasi cento anni quando ci riuscirono i Boston Red Sox. Due anni da quando questo è successo con i Philadelphia Phillies.

Ma queste sono le città del Baseball.

Proprio come questa….ora.

 
 

Le due sponde delle World Series – Parte prima

MOTTE IL CLOSER DEI CARDINALS, NON PUO’ VEDERE DOVE STA LANCIANDO

Articolo di Jeff Passant
Tradotto da Gandalf il Grigio

Con la sua barba incolta e irregolare e una fastball che avrebbe infranto il limite di velocità in tutti i 50 stati e sulle autostrade. Jason Motte dei St. Louis Cardinals interpreta lo stereotipo di “closer” terribilmente bene.
C’è solo una differenza tra lui e il resto degli artisti del “fine-gioco” nel baseball.

Getty Images

Motta non può vedere dove lancia….
Non si può definire propriamente cieco, ma dopo 29 anni la miopia è diventata abbastanza grave da fargli socchiudere gli occhi spesso, sul monte, perché non riesce a vedere il catcher Yadier Molina, mentre con le dita gli indica il tipo e la locazione del lancio. Le partite del pomeriggio al “Bush Stadium di St. Louis, con le sue ombre pericolose, sono particolarmente difficili.
A volte Motte ondeggia il suo guanto su e giù, chiedendo a Molina di tenere le dita più in basso e, nel farlo il catcher espone il segnale alla panchina avversaria.
Non so quale sia la misura della mia vista, ha detto Motte, “ma posso promettere che non sono Ted Williams”.
Williams, già inserito nella Hall of Fame, era famoso per la vista 20/10. Motte può essere un 20/100, 20/1000, 20/1 milione. Lui non lo sa, e non gliene importa. Da quando un oculista nel 2009 ha detto che Motte aveva bisogno di una sorta di correzione della vista, ha cercato di stabilizzare i suoi occhi, senza alcun risultato.
Anche Oakley è dotato di occhiali, come l’ex pitcher degli Yankees, Ryne Duren e il personaggio di Charlie Sheen in “Major League”, Richy Vaughn.
“Ma faceva troppo caldo là fuori e saliva la foschia ” disse Motte, “e io non riuscivo a vedere”.
Indossava ancora gli occhiali fuori dal campo. Sul monte passò alle lenti a contatto.
“Quando il tempo era secco, era anche peggio”, dice Motte. “Gli occhi si seccano, brucia; è facile nella vita normale, non sul monte.
Così Motte decise di adeguarsi ad un concetto romantico: lanciare al naturale, o per lo meno naturale per i suoi occhi. I 60 piedi e 6 pollice (18,44 mt) dal monte alla casa base sono un disastro perché le immagini arrivano sfuocate a Motte. Riesce ancora a concedere solo 2,1 Basi per balls ai battitori avversari per nove inning, un tasso incredibilmente basso per una persona con l’11° “miglior velocità di lancio” nelle leghe principali di quest’anno.
“Almeno lui ha una scusa quando concede una base balls ragazzi”, dice il closer John Axford dei Milwaukee Brewers.
Motte è stato eccellente nella regular season, è andato ancora meglio durante i play off. In otto innings di postseason, ha concesso un singolo, zero punti, zero BB è ha ottenuto 7 Strikeout durante le quattro salvezze. Motte si trovava sul monte quando i Cardinals avanzavano verso le World Series nella notte di Domenica, mettendo Strikeout Mark Kotsay con la sua migliore fastball, prima che venisse travolto dalla folla.
“Sono contento che gioca nella mia squadra” dice l’outfielder dei Cardinals Matt Holliday. “Non sarei sicuro di voler andare laggiù contro un ragazzo che non può vedere cosa vuol dire lanciare una palla a 100 mph”

Motte non ha mai superato le tre cifre sul questa stagione. Illuminava le 98 e 99 mph in tutte le partite della National League Camphionship Series contro i Brewers, e sembravano sfortunati come spesso sono i battitori nella maggior parte dell’anno.
Motte è uscito come una furia dal bullpen dei Cardinal nella scorsa stagione, dopo aver svolto il suo lavoro di closer intorno al bullpen, come gesto di pace il manager La Russa lo nominò suo capo nel mese di Agosto.
Salvo quando i St.Louis erano a sei punti dalla testa, Motte è stato l’ingranaggio perfetto nella macchina del bullpen dei Cardinals.
La Russa rimbrottò i suoi lanciatori partenti durante il NLCS perché il suo bullpen con Octavio Dotel, Mark Rzepczynsky, Lance Lynn, Arthur Rhodes, Fernando Salas, Mitchell Bogs e Motte inducevano a flebili swing i battitori dei Brewers. Ripetendo lo stesso rituale, per i Texas Rangers, gli avversari nelle World Series, sarà certamente più difficile.
Non solo il battitore di fastball dei rangers – Nelson Cruz, ha stabilito un record LCS con sei home runs off (HR che scavalca nel punteggio gli avversari e pone fine alla partita), ma la loro formazione è, dall’alto in basso del Line up, più potente di Milwaukee. Motte cerca di non sapere niente di più. Lui va. Lancia. Questa è la sua psicologia di lanciatore.
Tutto questo ha senso, visto che Motte è cresciuto come giocatore di posizione. Era un grande braccio, ma non riusciva a battere a Iona College, la scuola di New York non è certo una potenza nel baseball. Motte fu preso per tre stagioni dopo aver firmato con i Cardinals come 19° turno dei draft, fino a quando si rese conto che non avrebbe mai colpito abbastanza per giocare nelle Major League.
“Non riuscivo a vedere”, ha detto Motte. “Ciò spiega perché avevo una media di 190 nelle minor league. Almeno posso dire che era per questo. Si tratta di una scusa creata per me, ora. In realtà era solo che non ero buono”.
I Cardinals non vollero perdere un braccio come Motte, così lo convertirono in lanciatore. Quattro anni dopo, Motte non aveva sviluppato molto un secondo lancio – di tanto in tanto lancia una cutter fastball o un changeup – ma la sua fastball è così buona che lo ha trascinato in Major League.
“Mi piace pensare che sono un lanciatore!. Dice Motte, “ma io non cerco di pensare troppo. Non sono un ragazzo raffinato. Io non penso che farò questo o quello. Io attacco i battitori. Vado verso di loro. Cerco di individuare ed eseguire i miei lanci. Sono un ragazzo mx effort (massimo sforzo).”
Quindi se i signori Cardinals hanno bisogno di un leader nel nono inning o sono invischiati in una strettoia nell’ottavo, sul monte arriverà il ragazzo che non poteva vedere direttamente, ma certamente avrebbe potuto sparare così. Ogni tanto, Motte si dimentica una fastball alta e dentro, una che brucia i baffi del viso di un battitore, il battitore si chiederà certamente cosa sta succedendo, se Motte sta cercando di inviargli un messaggio un po’ aggressivo o semplicemente ha perso la presa della palla.
A volte non è niente di tutto questo.
“Sono in grado di far loro pensare che non so cosa sto facendo la fuori”, ha detto Motte.
Si mette un paio di occhiali da sole – lo stesso che usa sul campo. Più tardi nella notte, emergerà dal bullpen ad occhio nudo a falciare i “Birrai” con facilità.
Gli swing and misses continuano a susseguirsi per i battitori di Milwaukee, e Motte non aveva bisogno di una buona vista per sapere una cosa….
Gli piaceva ciò che vedeva.

 
 

Alex e il suo sogno americano. Primo italiano nel super-baseball Usa

articolo di Dario Pelizzari

Ventitrè anni, nato e cresciuto a Sanremo, Liddi arriva a Seattle a 17 anni. Da qui inizia la sua fulminante carriera che lo ha portato a essere uno dei protagonisti dello sport più amato negli States

Alex Liddi

Otto settembre, ore 4.42 in Italia. Tra i tanti sonnambuli alle prese con la tv in attesa di prendere sonno, ci sono molti appassionati di baseball di casa nostra. Vogliono seguire in diretta uno dei momenti più importanti e significativi della storia in salsa verdebiancorossa di questo sport. Già, perché Alex Liddi, 23enne nato e cresciuto a Sanremo, si dirige verso il box di battuta nella gara che vede la sua squadra, i Seattle Mariners, battersi contro i Los Angeles. E’ la prima volta di un giocatore italiano nella Major League Baseball (Mlb). Mai nessuno, prima di ora, era riuscito ad arrivare a giocarsi il futuro nel torneo più importante al mondo per il batti e corri.

Per chi non conosce le logiche del baseball made in Usa, va detto che da quelle parti vige la regola delle franchigie. Nessuna promozione o retrocessione, le società che disputano il campionato più rappresentativo, gestiscono direttamente le squadre satellite che militano nelle categorie inferiori. E possono prelevare o spedire giocatori durante tutto il corso del torneo. Per intenderci, alla Mlb arrivano solitamente i giocatori del Triplo A, che a sua volta attinge risorse dal Doppio A e via di questo passo fino alla base della piramide, la squadra dei Rookie, giovani ragazzini di talento che sognano di diventare grandi. Liddi è partito proprio da qui. Aveva 17 anni quando ha lasciato l’Italia con in tasca il contratto dei Mariners. Poteva essere uno dei tanti atleti italiani a tentare l’avventura nel baseball che conta, facendo qualche apparizione in Doppio A, categoria nella quale spesso si sono fermati i migliori. Invece, ha fatto il salto decisivo, quello che vale una carriera a cinque stelle. In sei anni ha scalato le gerarchie ed è arrivato a tagliare il traguardo più ambito dai milioni di aspiranti stelle che vivono e giocano in tutto il mondo.

“Perché io? Beh, non posso parlare di quello che hanno fatto gli altri prima di me. Però posso dire che io avevo una determinazione assoluta, volevo arrivarci e ci ho creduto fino in fondo, giorno dopo giorno, anche quando le cose andavano male – dice Alex, che in questi giorni è a Sanremo per tirare il fiato e salutare amici e parenti -. Non sono più forte di altri. Anzi, quando giocavo in Italia ce n’erano di più bravi. Ma ho imparato che, tecnica a parte, è la convinzione che conta per raggiungere certi risultati”. Vero, lui ce l’ha fatta e il percorso non sembra più impossibile. Se è vero che Liddi ha imparato le nozioni fondamentali del gioco nel nostro paese, che sta al baseball della Mlb più o meno come sta il calcio italiano a quello islandese, difficile pensare che non possa capitare ancora.

Il 2011 è stato un anno straordinario per il giovane atleta sanremese. Con la casacca dei Tacoma Rainiers, Triplo A di Seattle, ha collezionato numeri da record. Trenta fuoricampo, 32 doppi e 3 tripli in 559 presenze in battuta, per un totale di 104 punti battuti a casa e una media battuta pari a 259. Il passaggio alla prima squadra dei Mariners era soltanto questione di tempo. La chiamata tanto attesa è arrivata ad inizio settembre, quando la regular season permette di allargare il numero dei giocatori a disposizione della prima squadra. Liddi doveva giocarsi il posto con il terza base titolare, Kyle Seager, anche lui al primo anno di Major. Ha fatto subito bene in difesa, dove ha fatto vedere prodezze degne di campi tanto importanti. Qualche problema in più l’ha avuto in attacco, che i lanciatori della Mlb lanciano palle di un altro pianeta rispetto a quelli che giocano in Triplo A. Ma poi, il talento è venuto fuori. E in meno di un mese è salito a quota 225 in media battuta nelle 15 partite in cui ha giocato, mica male per un esordiente. Tra l’altro, ha battuto tre fuoricampo che hanno fatto saltare sulla sedia i colleghi italiani. Che classe, che potenza, Liddi è il campione che l’Italia del baseball ha sempre voluto avere.

Ma Seattle non è Sanremo. “Purtroppo, il clima da queste parti non è dei migliori. Piove spesso, ricorda Londra, ma va bene lo stesso, ci mancherebbe”.  Alex vive in un appartamento in affitto. Che potrebbe cambiare presto se le cose dovessero volgere al meglio. Perché il salario per chi gioca in Major League va dai 40 mila dollari di minimo sindacale ai milioni di dollari che vengono riconosciuti ai fuoriclasse. Più del doppio di quanto si guadagna in Triplo A. “Il manager mi ha detto che mi aspetta per il training di preparazione al prossimo campionato. Poi, si vedrà”. Liddi potrebbe rimanere in Mlb a disposizione della prima squadra, ma è ancora presto per dirlo. Certo è che nel campionato pro Usa non c’è tempo per riposare. Perché tale è la competizione che basta sbagliare un paio di partite per tornare a sedere in panchina. Ora davanti a lui c’è Seager, ma non è detto che da qui ai prossimi mesi, con il mercato di fine stagione in mezzo, qualcosa non possa muoversi anche per il 23enne che ha fatto più di qualsiasi altro (Nazionale compresa) per il baseball italiano.

 
 

Signori si chiude !!!

Gli amaretti concludono con un successo la loro altalenante stagione, vincendo il Triangolare “Città di Saronno”-

Più che un Torneo potremmo definirlo una festa tra vecchi amici; infatti il Bergamo e il Malnate sono ormai da considerare due società con cui abbiamo instaurato negli anni un solido rapporto di amicizia.

Il primo incontro ci vede opposti al Malnate, squadra che si è notevolmente rinverdita e che presenta, sotto la sapiente regia di Javier Mendez, un gruppo di giovanissimi molto promettenti.

Saronno parte subito bene e dopo due riprese ha già in mano la partita . Quattro valide , quattro BB e tre errori difensivi producono un vantaggio di 6 punti. Sul monte saronnese Alessio Razza sfodera la migliore prestazione della stagione ottenendo 8 SO e due sole BB concesse insieme all’unica valida. Ma il dato più interessante è la percentuale del 50% di Strikes lanciati. In attacco in evidenza Luca Girola e Jacopo Zoni, entrambi con un doppio. A chiudere l’incontro viene mandato sul monte Diego Monticelli che, a causa di due errori della difesa, deve incassare i due punti malnatesi.

Nel secondo incontro Malnate, opposto a Bergamo, cerca subito di incamerare un piccolo vantaggio da gestire, ma le mazze bergamasche tuonano nella seconda ripresa portando il vantaggio sul 4 a 1. I varesini cercano di rimanere agganciati agli avversari e al termine del quarto inning Bergamo conduce solo per 9 a 6. Nello sprint finale però Bergamo, aiutato dal calo del lanciatore malnatese, incamera altri 4 punti del vantaggio finale. Vantaggio che penserà il vecchio e “inossidabile” Acquafresca a conservare chiudendo con tre SO consecutivi la partita.

Nell’incontro finale gli amaretti se la devono vedere con Bergamo. Per quattro inning la partita è tiratissima e molto combattuta. Saronno, grazie ad un triplo di Abreu spinto a casa da Girola si porta subito in vantaggio. Sul monte Bergamasco Gianni Torchio che con le sue “saponette” tenta, e ci riesce bene,  di tenere sotto controllo le mazze saronnesi. Nel quarto attacco,  valida di Alessandro Moltrasio che successivamente con due rubate giunge fino in terza e a casa sulla volata di sacrificio di Giacomo Vandi, porta il punteggio sul due a zero. Sul monte saronnese Diego Monticelli, in forma smagliante (66% di strike),  detta legge; nelle sei riprese lanciate concederà solo due valide, e un colpito, ottenendo 5 SO. Nel quinto attacco saronnese sale sul monte bergamasco Fabio Okamoto nel tentativo di arginare il lento e progressivo cedimento della squadra. Saronno confezione, nella quinta e sesta ripresa i sei punti che di fatto chiudono l’incontro. A chiudere per i Bergamaschi salirà Riccardo Pietrosante per gli ultimi sei punti saronnesi. Sul monte degli amaretti troveranno un inaspettato spazio Elien “Cuba” Abreu (2 SO) e Michele Radice che se la cava egregiamente come “closer” (3 SO).

A parte il risultato finale questo torneo è servito soprattutto per salutare un “vecchio” (si fa per dire) e caro amico. Gianni Torchio che conclude oggi la sua carriera. Per molti anni nelle file dell’Ares Milano, dove ci ha sempre dato del filo da torcere con le sue “polpette” viscide i insidiose,  quest’anno ha militato nelle nostre fila (per quanto il tempo lasciato libero dagli impegni lo permetteva). Un abbraccio caro amico e i migliori auguri per la tua vita futura… sai sempre dove trovarci

P.S. e continua a leggermi!

Gandalf il Grigio

 
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Pubblicato da su 11 ottobre 2011 in Serie C